La mia esperienza sul Cammino di Santiago…parte 7
Parte 7
Ci incamminiamo io, Csaba e Johnny. La partenza è vivace, siamo colpi di sorpresa da uno scroscio che però dura solo 1 minuto e mezzo, proseguiamo praticamente tutto il giorno assieme, i discorsi hanno raggiunto uno spessore più profondo tra noi, cantiamo My way, io a bassa voce sono stonatissima, incontro altri due adesivi a bottone sui cartelli e racconto anche a loro la mia storia. Attraversiamo il seducente ponte di Hospital de Orbigo e paesini surreali e deserti, ma d’un tratto si apre su una salita un eccentrico luogo, sembra un’oasi marocchina, ci sono un chioschetto in legno pieno di cibo e bevande con scritto all free, tessuti tutto attorno a terra per sedersi. E’ La Casa de los Dioses, David ha creato qui un suo angolo di paradiso lungo il Cammino, ha un favoloso timbro con un cuore rosso, mi rilasso per un po’ qui, con Csaba e Johnny ci diamo appuntamento all’albergue de peregrinos Siervas de Maria ad Astorga. Dormiamo in una camerata al quarto piano di questo spettacolare stabile, sincronismi vogliono che Benedetta e Mariella siano nei letti accanto al mio. Visitiamo la città, mangiamo tutti assieme, con nuovi incontri e volti già conosciuti.
La mattina appena sveglia capisco subito che sarà una giornata non facile, le mie caviglie si sono parecchio gonfiate e fatico a camminare, saluto tutti, il mio passo è molto lento, non voglio frenare nessuno. Faccio svariate soste, le mie caviglie reclamano pietà, è il momento più duro finora. Ma piano piano riesco a camminare per quasi 20 km, sono soddisfatta anche se i giorni prima ne avevo percorsi di media almeno 10 in più, forse avevo tirato troppo. Gioisco del risultato di questa tappa e di altri due bottoni da mettere in lista, uno quasi staccato dalle intemperie l’ho portato con me. Sono in un paese davvero favoloso con le sue caratteristiche strutture in pietra, Rabanal del Camino. Nella guida vedo che c’è uno storico albergue gestito da una confraternita inglese, lo cerco e lo trovo ancora chiuso, dalla porta parte una simpatica fila di zaini in attesa, c’è un caldo sole e i pellegrini che aspettano sono tutti sotto gli alberi del piccolo monastero davanti. Appoggio il mio zaino in coda agli altri e mi siedo a terra per cercare su google se c’è una farmacia in paese. Scopro che non c’è nulla, proverò a chiedere agli hospitaleri se hanno qualcosa da darmi per le mie caviglie doloranti, intanto tolgo le scarpe e mi massaggio. In un istante arriva Rafael, brasiliano ma con madre giapponese, mi chiede se sono l’ultima in attesa, mi guarda le caviglie e mi racconta che la settimana prima era successo anche a lui. Mi passa un po’ di crema all’arnica e poi mi regala un tubetto di voltaren, mi dice che ha deciso che a lui non servirà più. Lo abbraccio e per ringraziarlo vado a prendere due birre nel vicino piccolo market, anche oggi sincronismi inconcepibili, il chiedi e ti sarà dato è assai strepitoso.
Betty e Margareth all’accoglienza sono una forza della natura, fanno ridere tutti con la loro macchina strizza vestiti. La struttura dove passerò la notte è di una bellezza assurda, in giardino si beve il the tutti assieme e Gonzalo intona canzoni con il suo ukulele, un’ottima situazione per rilassarmi.
La mattina decido di partire molto presto per vedere l’alba dall’alto, a pochi km c’è la Cruz de Hierro, uno dei simboli più importanti del Cammino, la tradizione vuole che si lasci qua una pietra portata da casa, che rappresenta filosoficamente i pesi più interni che dobbiamo mollare. Non ho pensato a pietre quando sono partita, ma ho con me il sasso con cui ho spellato il bastone che è diventato un gran aiutante, lo ringrazio per avermi sollevato da un po’ di fatica. E ringrazio altresì per le mie caviglie che stanno meglio, anche se salendo per il sentiero ho dovuto spogliarmi e cambiarmi dalla fatica fatta con un fisico non al top. Appena dopo la croce, nel cartello che indica il punto più alto di tutto il cammino, un altro bottone azzurro conferma che sto seguendo la giusta strada.
Incrocio Csaba e lo riabbraccio, conosco la francese Claudia che mi dice di non concentrarmi nelle sensazioni negative legate alle mie caviglie e mi esorta a lasciar andare, a vivere la giornata. Cantiamo, non ricordo cosa. La discesa è micidiale, saluto tutti e la affronto con molta calma, ma tutto il mix di cartelli colorati con nomi di città e il personaggio all’interno di Manjarin mi regalano altri sorrisi.
Giungo a Molinaseca e cerco l’albergue municipale che si trova in periferia del paese, è una vecchia chiesa sconsacrata un po’ rimodernata, faccio scorte di cibo per non muovermi fino alla mattina dopo, ho il letto n° 10.