La mia esperienza sul Cammino di Santiago…parte 6

Parte 6

Parto con un buio quasi totale, il cielo è superstellato e l’alba arriva delicata piano piano. Altra giornata senza nessun riferimento all’orizzonte, le Mesetas ti spogliano di ogni fronzolo, ti obbligano a pensieri lunghi e molto introspettivi. Cammino per molti km da sola, radico ancora di più le mie consapevolezze, delineo le emozioni di questa avventura.
I lunghi vuoti tra un paese e l’altro obbligano la fermata per la notte a Terradillos de los Templarios dove c’è un unico albergue aperto, sembra un paese fantasma.
Incontro un po’ di italiani, Michele che abita dalle mie parti, Michele da Trieste, Riccardo e tanti altri pellegrini, anche lo spagnolo Evaristo che parla italiano smisuratamente a raffica. Per la prima volta penso che in qualche modo dovrò ritornare a casa finito questo viaggio, così sbircio i voli da Santiago e trovo una super occasione per un volo diretto a Milano. Lo compro, la mia mente vacilla per un attimo, avevo resettato che tutto ciò avrebbe avuto una fine.
Si cena in compagnia con il menù del pellegrino, oggi non ci sono tante altre alternative. La nottata è molto movimentata, sono in una camerata con un canadese che russa all’inverosimile, non riesco a prendere sonno. Me ne vado avvolta nel mio sacco a pelo alla ricerca di un letto vuoto in altre camere.
Ormai il mio occhio si è abituato alle partenze con l’oscurità, alla mattina ritrovo Benedetta e Mariella e do un lungo abbraccio d’addio a Laura, il suo cammino finisce qua, poi è una giornata di cammino solitario. I bottoni azzurri nei cartelli delle indicazioni sono diventati una gioiosa presenza, ne incontro 3 nel giro di pochi km, ogni volta sorrido tra me e me. Decido di arrivare a El Burgo Ranero dove c’è un rifugio dedicato ad un famoso pellegrino italiano. Poco prima del paese vedo Csaba seduto in mezzo ad un campo, sta armeggiando con la sua fotocamera, gli chiedo se ha bisogno di un aiuto, gli scatto qualche foto. Entriamo in paese assieme, al rifugio c’è un solo letto libero e io, dopo un po’ di implorazioni all’hospitalero, mi accaparro due coperte per dormire a terra.

Sarà un pomeriggio di totale relax, facciamo la spesa assieme e Csaba cucina la cena anche per me.
E’ mattina presto e fa già un caldo pazzesco, è un argomento molto comune il fatto che non piove da più di due settimane, si ringrazia il meteo, camminare così sembra davvero più godibile. Vincent da Taiwan mi scatta una foto accanto ad un cartello dove è presente l’adesivo a bottone, sono paonazza mentre lui sembra fresco appena uscito dalla doccia. Chiacchieriamo un po’, ma lui ha un passo troppo veloce per me. Lo saluto abbracciandolo.
I km di noiosa strada mi rendono conscia del fatto che ho iniziato a pensare in inglese o almeno mi sforzo il più possibile per tirare fuori parole e verbi dai miei cassetti della memoria. Voglio comunicare il meglio possibile, cerco di imparare molti termini e frasi in spagnolo, i dialoghi con le persone che incontro sono davvero belli e puri, non c’è la necessità in cammino di dimostrare qualcosa agli altri, non ci sono secondi fini, si è se stessi, riscopri il tuo vero io nelle conversazioni. A volte si parla per ore senza nemmeno chiedersi il nome. E la solidarietà è fortissima, quasi tutti salutano, quasi tutti ti chiedono come stai o se hai bisogno di qualcosa se ti fermi sul ciglio della via. Qualche km prima di Leon un ragazzo che vende frutta dal furgone mi regala una mela e una pesca.
Mi fermo per la notte appena prima di entrare a Leon, non ho voglia di passare la serata nella confusione della città, i km di asfalto e rumore sono stati troppi, così trovo un piccolo albergue a Arcahueja.
Qui incontro un tedesco che è in cammino da due mesi, Daniela da Bratislava con cui ceno e lo spagnolo Nacho che è disperato per le sue vesciche, sta facendo il cammino a pezzi, un tratto lo aveva percorso l’anno prima, è appena ripartito con le stesse scarpe e dopo solo un giorno ha delle vesciche tremende e inguardabili che non gli permettono di andare avanti, piange l’indomani rientrerà a casa.
Una lepre mi accompagna nel sentiero per i pochi metri di natura rimasti prima di Leon. Mi addentro in città che è ancora illuminata a notte, l’alba attenua un po’ il mio lungo infinito attraversarla, i colori a quest’ora rendono però ancora più favolose le architetture. Ho i piedi per la prima volta molto doloranti a causa di tutto questo asfalto e ripenso a Nacho. Per fortuna è domenica e c’è molto meno traffico attorno.
Appena dopo la futuristica e di brutto gusto basilica de La Virgen del Camino, dove però trovo l’ennesimo timbro per la mia credenziale, decido senza pensarci un attimo di prendere il tracciato alternativo per evitare la statale. Felicemente il panorama cambia e per molti km il sentiero regala pace, solo qualche albero qua e là. Al mio arrivo a Villar de Mazarife decreto di fermarmi qui a cercare un albergue, non faccio però nemmeno in tempo a prendere la guida per vedere le alternative che Csaba mi corre incontro e mi sequestra per portarmi all’albergue dove lui e Johnny, un giovane cuoco tedesco, si sono già sistemati. Passiamo il pomeriggio a bere birra nel giardino dell’albergue. L’abbiamo trovata nel minuscolo market di questo piccolissimo paese, vicino alla caratteristica chiesa piena di nidi di cicogne, non presenti però in questo periodo. Nell’asfalto davanti all’albergue trovo disegnata una casa stilizzata gialla, la fotografo con i miei piedi nelle infradito rosse, penso che in fondo nel Cammino mi sto sentendo a casa. La tavolata serale della cena preparata dallo strano e espansivo padrone di casa è assai piacevole, siamo in tanti, la compagnia, il gaspacho, la paella e il vino tinto rallegrano tutto.

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