La mia esperienza sul Cammino di Santiago…parte 4

Parte 4

Lungo la strada entro in tutte le chiese aperte che incontro, alcune non hanno più soffitti, altre sono piene di decori dorati che a volte stridono con il resto dell’architettura più povera. Camminando non si attraversa molto altro da visitare, devo confessare però che sono diventata un’incontrollabile collezionista di timbri sulla credenziale e quasi in ogni chiesa ne trovo uno. La credenziale l’ho richiesta e me la sono fatta spedire a casa prima di partire dalla Confraternita di San Jacopo in Italia. Nel guardare tutti i timbri si sta già delineando un racconto di tanti tasselli di strada fatta.
Percorro tratti condividendo parole con molti pellegrini, dopo quasi 30 km entro a Najera sola, sono parecchio stanca. Come al solito miro all’albergue municipale, nella lista delle opzioni per dormire scelgo prima di tutto i municipali a donativo, preferisco condividere esperienze con tante persone che richiudermi in una stanza da sola. E in più l’accoglienza che si riceve spesso è molto più gradevole. E a Najera è proprio così. Nonostante la struttura sia in un moderno prefaffricato, sono accolta con anguria e acqua e limone da hospitaleri simpaticissimi, c’è un po’ di coda per registrarsi, ma è tutto assai piacevole. Sono la 26° pellegrina arrivata e mi assegnano il letto n° 89. Verso sera siamo quasi 100 pellegrini in uno stanzone unico, ripenso a Gianpaolo che prima di partire mi prendeva in giro dicendomi che secondo lui mi sarei chiusa per 30 giorni in una beauty farm, non sarei di certo partita per una cosa del genere. Dedico a lui la mia foto quotidiana su facebook, una distesa di letti tutti attaccati e zaini ovunque. Nella confusione della tavolata per cena sono seduta tra un israeliano, un australiano, canadesi, coreani e chissà che altre nazioni si sono radunate qua. Respiro felicità. Dormo praticamente appiccicata ad una ragazza coreana.
L’ottavo giorno non scrivo nulla nel mio diario. Nella mia guida leggo il suggerimento di fermarsi al rifugio parrocchiale nella chiesa di Granon. Faccio sosta a Santo Domingo della Calzada, con Benedetta visito la chiesa dove, per la strana leggenda di Santo Domingo, sono presenti due polli bianchi vivi. Con sensazioni contrastanti tra il sorriso che stimola la leggenda e la tristezza per due poveri polli tenuti in gabbia, ci rincamminiamo, anche Benedetta è diretta a Granon. Arriviamo, giriamo attorno alla chiesa, il rifugio che ci accoglierà per la notte è proprio parte della chiesa. La cassetta per le offerte dice di lasciare quel che si può e prendere ciò che hai bisogno, le due hospitalere che ci accolgono rispecchiano ciò. Io e Benedetta siamo già felicemente agitate, ma non siamo al corrente di quello che succederà dopo. La serata più intensa di tutto il mio percorso. Piango di gioia come una fontana in chiesa, dove ci hanno portati dopo la cena condivisa a zuppa e vino tinto, e dove ci scambiamo pensieri sulla realtà che stiamo vivendo. Realizzo che questa dimensione è molto di più del regalo che pensavo di farmi, ho trovato un qualcosa che mi fa stare bene in modo ineguagliabile e incondizionato, in ogni aspetto. Dormo poco, non a causa del materasso basso a terra in cui si dorme nel sottotetto vicino al campanile, la cosa più comoda del mondo, ma per colpa dei mille pensieri che mi si aprono in testa, la felicità è una condizione da cercare dentro, senza mille proiezioni future.

Alla mattina con pellegrini e hospitalere ci si abbraccia tutti, niente timbro nella credenziale al rifugio di Granon, ci dicono di lasciare uno spazio vuoto e di riempirlo con le nostre emozioni vissute in questo luogo. Riabbraccio tutti. Io e Benedetta non parliamo d’altro tutto il percorso, coinvolgiamo anche Mariella che si aggrega a noi, abbiamo lo stesso passo e finalmente dialogo un po’ in italiano. Nella guida c’è scritto che a poco più di 20 km c’è Tosantos dove c’è un’altra accoglienza che sembra magica. Ci avviamo tutte e tre piene di aspettative.
Ma arrivate la situazione è ben diversa. Mentre aspetto l’apertura del rifugio parrocchiale le mie due compagne lasciano gli zaini fuori dalla porta e vanno a prendere qualcosa da bere nel bar all’altro lato della strada. E qui succede un disastro, quando Santiago apre la porta e mi vede con 3 zaini inizia ad urlarmi dietro che lui non accetta pellegrini che non camminano con lo zaino in spalla, lungo il Cammino sono attivi servizi di trasporto zaini. Cerco di spiegargli che le mie amiche hanno solo lasciato qui gli zaini e sono a prendere un caffè, ma non vuole intendere. Mi parte il nervoso, non mi va di vivere momenti così, voglio andarmene a cercare un altro posto per dormire, ma ho gli zaini delle ragazze. Poi mi calmo e cerco di capire la situazione, loro ritornano e si decide di restare. La visita all’interno dell’eremita di Nuestra Senora de la Pena costruito nella roccia mi risolleva il morale. Oltre a noi 3 italiane ci sono solo coreani e un canadese all’albergue e Santiago parlando solo spagnolo non riesce a comunicare con loro, così durante la cena riusciamo a scucirgli un po’ di cose e capiamo molto. Il precedente hospitalero sta male e lui lo sostituisce già da un po’ ma la ripetitività ciclica delle giornate lo sta mandando totalmente in tilt. Lo abbracciamo e gli proviamo a dire di guardare al di là delle apparenze e di tirare fuori la parte più dolce che c’è in lui, l’abbiamo vista durante la cena.
Per altri 3 giorni camminerò quasi sempre con Benedetta e Mariella, ci siamo affiatate e abbiamo gli stessi ritmi, nessuna forza l’altra. Saliamo all’Alto della Pedraja e siamo accolte da mille frecce di legno che indicano qualsiasi luogo sulla terra che può venire in mente. La sensazione di esser parte di una situazione che regala un’estensione di visioni e aperture così forti e mai così percepite, è davvero corroborante, ringrazio il mio fisioterapista che mi dice sempre che quando mi sento molto bene devo usare questo termine. Utilizzo spesso anche l’aggettivo saltellante per definire la mia percezione di gioia, se poi ci aggiungo anche il battere le mani è totale esultanza. Mi ricapita appena dopo, in un cartello blu trovo un altro adesivo a forma di bottone. Cerco di analizzarlo, è di carta, sembra tagliato a mano. Non riesco a trarre nessuna conclusione se non che vederli mi suscita l’emozione che ho appena descritto, decido di crearci attorno una mia storia e inizio a parlarne, chiedo pareri e ascolto responsi. Mi ripeto che sono nella giusta strada, questi bottoni mi stanno indicando questo, ne faccio il mio mantra.
Decidiamo di fermarci per la notte ad Atapuerca e di andare a visitare il famoso parco archeologico, il più antico di Spagna. Siamo un gruppetto e aspettiamo il bus che ci porta nel sito a qualche km, è una strana sensazione prendere un mezzo di trasporto per viaggiare, ormai dopo 10 giorni nella testa non c’è altro che la modalità a piedi.
La stanza dove dormiamo ha un bel soffitto fatto di intrecci di travi di legno, la percezione è che sia tutto aperto. Mangiamo tutti assieme nel giardino dell’albergue, prima di arrivare ci eravamo equipaggiate con un po’ di cibo.
La mattina il sentiero parte parecchio in salita, raggiungiamo la cima dove c’è un’alta croce, molte pietre che compongono una spirale enorme e un grande cartello in metallo con una scritta che elogia il panorama. L’alba che appare rende tutto ancora più suggestivo e toccante, nel mio diario all’arrivo scriverò: mille emozioni molto pure.

Da lì si può scorgere Burgos, sarà la fine della tappa della giornata. Ci dirigiamo all’Albergue municipale, c’è una gran coda per prendere un letto, ma ci rassicurano dicendoci che i posti sono 150. Intravvedo Brena tra i pellegrini in attesa, le vado incontro abbracciandola, lei mi chiede se prenderò un aereo o un treno il giorno dopo, le rispondo che è lei quella che finisce qua, con le nostre strane lingue nel dialogare abbiamo reciprocamente e erroneamente capito che il cammino per l’altra si sarebbe concluso a Burgos. Ci riabbracciamo. Purtroppo però sembra che ci siamo invocate l’infausta sorte di non rincontrarci più, lei non la vedrò più.
La struttura è nuovissima e super attrezzata, mi assegnano il letto n°241. Mentre faccio il mio stretching quotidiano nel terrazzo rincontro Carlos, usciamo poi tutti a visitare la cattedrale e il centro e a mangiare patatas e vino tinto. Presa da mille cose non mi ricordo né di far foto né di pubblicare il mio piccolo racconto su facebook, sono in realtà molto felice di ciò.

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