La mia esperienza sul Cammino di Santiago…parte 1
In molti mi chiedono il perché di questo mio continuo camminare, oggi vorrei partire dall’inizio e raccontarvi una storia: la mia esperienza sul Cammino di Santiago. Lo farò a passi.
Parte 1.
Nel 2017 ho chiuso un po’ di porte nella mia vita, ho definito situazioni e da ciò ne è uscita la voglia di regalarmi un qualcosa che fosse solo per me, si assai egoisticamente, per un periodo volevo provare a togliere molti dei condizionamenti che erano sempre stati troppo presenti nella mia vita quotidiana degli ultimi anni.
Si ma dove andare? Come fare per dedicare un po’ di tempo solo a me stessa? In più avevo anche una motivazione che poteva essere aggiunta a tutto ciò: dopo qualche mese avrei compiuto 40 anni.
A inizio 2016 un’auto mi aveva tamponata a forte velocità mentre io ero alla guida della mia, con il risultato di un’impegnativa distorsione del rachide cervicale, meglio conosciuta come colpo di frusta. Dopo un po’ di mesi avevo iniziato a seguire un gruppo di nordic walking come aiuto per il trauma e il camminare era diventato un piacevole momento che dedicavo a me stessa…e allora perché non provare ad ampliare questa prospettiva ad un qualcosa di più esteso?
Mi metto così alla ricerca di cammini di più giorni da poter fare da sola. Avevo già sentito parlare del Cammino francese di Santiago di Compostela in Spagna, così mi informo, leggo tutto quello che trovo, no non tutto, evito i racconti tristi o disperati. Decido di partire, con un biglietto di sola andata. Non ho mai fatto nulla del genere e non so davvero cosa aspettarmi.
Non trovo voli economici che mi portino in Francia per iniziare da lì, ma dopo un po’ di ricerca becco un biglietto Venezia – Madrid + Madrid – Pamplona. Parto, è il 13 settembre. E già i voli sono appassionanti, il primo sono seduta vicino ad una ragazza che piena di entusiasmo mi racconta che sta andando con la sua accompagnatrice a percorrere gli ultimi 120 km del cammino, Silvia ha la sclerosi multipla e io già piango dalla commozione. Il secondo volo è su un aereo davvero piccolo, siamo in pochi e io sono accanto ad un ragazzo spagnolo che continua a parlarmi ininterrottamente, non capisco molto, non so lo spagnolo e lui non sa l’inglese, ma dopo un po’ decifro qualcosa, mi dice che è un famoso rapper e mi racconta delle maglie che gli ha regalato il suo amico Baggio, della sua collezione di auto, delle sue case in Spagna. Non credo ad una parola di ciò che mi dice, ma quando stiamo per scendere dall’aereo a Pamplona, l’hostess gli chiede una foto con lui e l’autografo, sorrido, lo saluto. Vado in stazione dei bus e prendo al volo quello che mi porterà a Roncisvalle, da dove inizierò a camminare. Dalla partenza da Venezia a qui mi sembra già tutto molto felicemente surreale, l’autista del bus, con stuzzicadente in bocca, ha un’acconciatura che farebbe invidia ai Cugini di Campagna, vicino a me si siede Pedro uno spagnolo, anche lui mi parla a raffica, naturalmente solo in spagnolo, in un’ora di bus, con l’aiuto del traduttore del cellulare, conosco a perfezione tutta la sua vita. Capisco subito che davvero ispiro le persone a parlare, sono un’ottima ascoltatrice, l’ho sempre saputo, ma mai così tanto come in questi giorni nel cammino.
Arrivati ci avviamo assieme dove si dirigono tutti, scopriamo una coda infinita alla Real Colegiata de Roncesvalles per i posti letto, circa 200. Aspettiamo più di un’ora, in questo tempo penso che se questa sarà la situazione ogni giorno forse è meglio ritornare subito al bus e andare a casa, ma non lo faccio. Mi commuovo al primo timbro sulla mia credenziale, il passaporto del pellegrino che diventerà il mio documento più importante in questi giorni, mi assegnano uno degli ultimi letti in uno stanzone vicino alla chiesa, quelli dopo di me li mandano via, inizio a pensare che forse la fortuna mi assisterà. Alla sera conosco già un sacco di persone, capisco che quella umana sarà la parte più eccezionale di questa avventura. Dopo un’ora per Jesus, un sessantenne spagnolo, sono diventata Clara, dopo due ore Clarita. E già dalla prima notte imparo che ci sarà un sottofondo quasi sempre presente nelle camerate, Jesus russa come un dannato, come lui tanti altri, per fortuna mi sono premunita con dei tappi per le orecchie.
La mattina parto prestissimo, ho dormito poco, oltre al russatore Jesus, mille pensieri mi hanno tenuta vigile, sono tutta un fervore dalle emozioni. Fuori c’è buio, il cartello che indica 790 km a Santiago mi fa sorridere, ho deciso di provare a non avere aspettative in questi giorni, ho preso un biglietto di sola andata perché non ho voglia di pensare troppo avanti, chissà cosa mi aspetterà. Non voglio fare previsioni, nemmeno programmi. Ho con me solo la guida di Terre di Mezzo che ho acquistato prima di partire e che mi darà qualche indicazione se necessario.
Poco dopo mi raggiunge Pedro, piove e mi insegna una nuova parola ciribiri, non so se si scrive così, la definizione di pioggierellina leggera in spagnolo. Da subito l’itinerario è pieno di indicazioni, frecce di ogni tipo e cartelli ovunque, il pericolo di perdersi è praticamente nullo. Ho raccontato a Pedro dei miei bottoni, di come mi hanno cambiato la vita e sono diventati il mio lavoro a tempo pieno nell’ambito del design del gioiello, dopo un po’ di km percorsi mi sento chiamare e lui esagitato gesticola con le braccia per farmi vedere qualcosa su un segnale blu e giallo che indica la strada. Torno indietro di qualche metro e mi prende un colpo al cuore, l’omino pellegrino disegnato sul cartello ha un adesivo a forma di bottone azzurro che gli copre la faccia, sarà uno dei misteri più pazzeschi del cammino, per fortuna piove e le mie piccole lacrime si nascondono. Arriviamo a Zubiri, io decido di fermarmi nell’albergue municipale, nel cammino gli alloggi per i pellegrini si chiamano albergue, ma Pedro vuole continuare, ci salutiamo, ci abbracciamo.
Imparo in poco tempo molte cose:
– che gli abbracci saranno davvero tanti, sono felice, mi piace il contatto con le persone che a pelle mi ispirano e con cui sto bene;
– ad affidarmi ancora di più al mio istinto;
– a vivere le persone e le situazioni nel momento, con la consapevolezza che non saprò mai cosa succederà il giorno dopo o tra un’ora;
– a chiedere i contatti alle persone, Pedro da quell’abbraccio non l’ho più incontrato e mi sarebbe piaciuto molto vedere il suo sguardo all’arrivo, anche solo in foto e sapere come si era sviluppata la sua grossa motivazione che lo aveva spinto a partire;
– che non serviva studiare guide o altro per diventare un pellegrino, dopo qualche ora vissuta in cammino conosco già molte cose.
Anche se devo ammettere che in un aspetto le mie ricerche prima di partire mi hanno aiutato molto, la preparazione dello zaino. Un anno e mezzo prima c’era stato l’incidente e il mio collo non è ancora al top, preferisco evitare di aver problemi, così ho indagato parecchio per alleggerire al massimo il peso del mio zaino. Red lady, così ho battezzato il mio super zaino, alla partenza pesa solo 5 kg, senza cibo e acqua. E di questo sono molto orgogliosa di me, non ho un’idea chiara di cosa mi servirà realmente in cammino, ma ho dosato tutto alla perfezione, quasi!
La seconda notte è travagliata, ho crampi allo stomaco, chissà se ho mangiato qualcosa che non avrei dovuto o se sono tutte le emozioni, sono sul letto a castello sopra, sotto dorme Josè, mi cade un calzino giusto dentro il suo zaino, faccio mille acrobazie per non svegliare nessuno, alla mattina perdo i miei pantaloni che uso per dormire. Aggiungo alla lista dei miei imparo: cancellare dai miei pensieri la ricerca della perfezione, ma vivere ogni attimo a pieno per ciò che è!